20 gennaio 1902: La demolizione delle mura medievali di Bologna

Il 20 gennaio 1902 segnò l'inizio di una delle trasformazioni urbanistiche più radicali nella storia di Bologna: la demolizione della cinta muraria medievale. Questo evento, carico di implicazioni storiche, culturali e sociali, scatenò aspre polemiche tra chi vedeva nella distruzione delle mura un'opportunità di modernizzazione e chi, invece, le considerava un patrimonio irrinunciabile della città. I lavori iniziarono da porta Santo Stefano e porta Lame, per poi estendersi a porta Castiglione e porta San Mamolo, coinvolgendo 494 operai pagati due lire al giorno, con turni di lavoro dalle 7:30 alle 16:30.

Il contesto storico e urbanistico

All'inizio del Novecento, Bologna, come molte altre città europee, era alle prese con le sfide della modernità. Le mura medievali, costruite tra il XII e il XIV secolo, erano diventate un simbolo di un'epoca passata, considerate da molti un ostacolo al progresso e allo sviluppo urbano. Il sindaco Alberto Dallolio (1852-1935), esponente di una borghesia progressista e pragmatica, promosse l'idea di smantellare le mura per favorire il "ricambio dell'aria" e migliorare le condizioni igieniche della città. Tuttavia, le ragioni erano anche di natura economica e sociale: la demolizione avrebbe creato posti di lavoro per fasce di popolazione spesso emarginate e avrebbe aperto nuovi spazi per l'edilizia pubblica e privata.

L'operazione non era senza precedenti. A Parigi, il barone Haussmann aveva già trasformato il volto della città demolendo interi quartieri medievali per creare ampi viali e spazi moderni. A Vienna, l'imperatore Francesco Giuseppe aveva fatto rimuovere le mura medievali per costruire il celebre Ring, il viale di circonvallazione che ancora oggi caratterizza la città. Bologna seguì questo modello, utilizzando le pietre delle mura per colmare il fossato che circondava la città.

Le polemiche e la resistenza dei conservatori

Non tutti, però, erano d'accordo con questa decisione. La demolizione delle mura scatenò un acceso dibattito tra "demolitori" e "conservatori". Tra i più fieri oppositori vi era Alfonso Rubbiani (1848-1913), restauratore e cultore dell'arte medievale, che aveva già contribuito al recupero di numerosi monumenti bolognesi, tra cui Palazzo Re Enzo, Palazzo dei Notai e Palazzo della Mercanzia. Rubbiani vedeva nelle mura non solo un'opera architettonica, ma un elemento identitario della città, un simbolo della sua storia e della sua autonomia.

Rubbiani, sostenuto da figure come Giosuè Carducci e Alfredo Oriani, sosteneva che la modernità non dovesse necessariamente passare attraverso la distruzione del passato. In un appassionato appello, scriveva: «La nostra civiltà attuale è frutto della critica storica, non ha più odio ma rispetto per il passato e per l'avvenire. Non chiede più distruzioni ma riforme. Perché non costruire accanto? Il mondo è grande e lo spazio non manca». Per Rubbiani, le mura non erano solo un retaggio medievale, ma un monumento che raccontava secoli di storia, dalle lotte contro Federico II nel 1220 alla resistenza contro Cesare Borgia e le truppe francesi nel 1506.

La demolizione e le sue conseguenze

Nonostante le proteste, i lavori di demolizione procedettero rapidamente. Le mura, che per secoli avevano protetto la città, furono abbattute per fare spazio a nuovi quartieri e strade. Le pietre furono utilizzate per colmare il fossato, cancellando un altro elemento caratteristico del paesaggio urbano bolognese. La demolizione delle mura rappresentò una vittoria per i sostenitori del progresso, ma una perdita irreparabile per chi vedeva nella conservazione del patrimonio storico una priorità.

L'eredità di Rubbiani e le successive battaglie

La battaglia di Alfonso Rubbiani non si esaurì con la demolizione delle mura. Negli anni successivi, il restauratore continuò a lottare per la conservazione del patrimonio medievale di Bologna. Una delle sue ultime battaglie fu quella per salvare le torri medievali lungo la strada del Mercato di Mezzo, minacciate di demolizione nel 1916. Anche in questo caso, Rubbiani trovò un alleato in Gabriele D'Annunzio, che in un'appassionata invettiva denunciò il "sacrilegio" di distruggere le torri per fare spazio a nuovi edifici. Nonostante gli sforzi, le torri Artemisi, Conforti e Riccadonna furono abbattute nel marzo 1919, segnando un'altra sconfitta per i conservatori.

Conclusioni

La demolizione delle mura medievali di Bologna il 20 gennaio 1902 fu un evento emblematico del conflitto tra progresso e conservazione, tra modernità e tradizione. Se da un lato rappresentò un passo verso la modernizzazione della città, dall'altro segnò la perdita di un patrimonio storico e identitario. La battaglia di Alfonso Rubbiani e dei suoi sostenitori, pur sconfitta, rimane una testimonianza dell'importanza di preservare il passato mentre si costruisce il futuro. Oggi, a distanza di oltre un secolo, quell'evento ci ricorda che il progresso non deve necessariamente passare attraverso la distruzione, ma può e deve dialogare con la storia e la memoria.