Viene data la prima rappresentazione in Italia del Lohengrin di Richard Wagner (1813-1883), composta nel 1850 ed eseguita nell'ottobre di quell'anno a Weimar, nel centenario della nascita di Goethe.

L’arrivo a Bologna dell’opera del compositore tedesco è frutto dell’interessamento del sindaco Camillo Casarini (1830-1874) e avviene su pressione della stampa cittadina, dominata dalla figura del giovane assessore Enrico Panzacchi (1840-1904), e dell'editore musicale Lucca, detentore dei diritti di esecuzione.

Bologna musicale conosce Wagner da qualche tempo: nei saggi del Liceo Musicale e del Teatro comunale è stata eseguita, nel 1869, la Ouverture del Tannhauser, accolta con favore "temperato".

Le "stramberie della musica dell'avvenire" trovano opposizione tra gli influenti soci della Società Felsinea, che considerano Wagner "incomprensibile come un geroglifico egiziano", tra i liberali moderati e soprattutto tra i clericali, che si scagliano con aspri articoli contro il "framassone" Wagner.

Il barone Mistrali parla di "mostruoso aborto dell'ingegno umano" e definisce il Lohengrin una sfida "al senso comune e all'arte".

Il critico dell' "Ancora" se la prende soprattutto con il secondo atto, che contiene un duetto così lungo "da far perdere la pazienza a Giobbe con una musica da mandare al diavolo".

Per il redattore dell' "Arpa" Sangiorgi, Wagner "non è né un demonio, né un angelo: non è un genio, ma è tale che può dirsi maestro nella scienza, e colle combinazioni armoniche ha trovato la magia della sonorità assoluta".

Il debutto dell'opera avviene il 1° novembre. Sotto la guida del maestro Angelo Mariani (1821-1873), uno dei migliori direttori d'orchestra in Italia, cantano il tenore Italo Campanini (Lohengrin), Bianca Blum, Elisa Stefanini Donzelli, Pietro Silenzi. Il Teatro Comunale è gremito in ogni ordine e accoglie i più bei nomi dell'aristocrazia bolognese.

Scriverà il giorno dopo il cronista dell' "Arpa" che gli spettatori "non avevano il sembiante di chi si è riunito per divertirsi, ma invece apparivano tutti quanti giurati che dovessero emettere un verdetto in una causa capitale". Il successo è, tuttavia, fin dalla prima notevole: gli artisti e il direttore vengono più volte richiamati alla ribalta.

Ad una delle quattordici repliche - il 9 novembre all'ombra del palco n. 23 - presenzierà anche Giuseppe Verdi, accompagnato da Arrigo Boito.

Il 31 maggio 1872 il Consiglio municipale assegnerà a Wagner la cittadinanza onoraria. Il Teatro Comunale diverrà il tempio del culto wagneriano in Italia: a Bologna si terranno anche le prime italiane di Tannhäuser (1872), Il vascello fantasma (1877), Tristano e Isotta (1888) e Parsifal (1914).

Al Lohengrin sarà intitolato un profumo - un doppio "estratto olezzante", che un avviso a pagamento definirà indispensabile a "chiunque aspiri all'eleganza" - e anche una ciambella, confezionata con ricetta tenuta segreta dal pasticcere Geremia Viscardi.

Il 1 novembre 1871 un terremoto artistico scosse il Paese. Al Teatro Comunale di Bologna arrivava Lohengrin, prima opera di Richard Wagner rappresentata in un’Italia che, ancora in piena febbre risorgimentale, aveva portato il dibattito nazionalista anche in campo musicale. Gli oltre 150 anni che ci separano da quel debutto ne hanno confuso i contorni e sbiadito le prospettive, ma quello di Bologna, senza dubbio, fu il fatto musicale più importante del XIX secolo.

Poco s’è scritto sul grande artefice dell’operazione: non un musicista o un agente, non un monarca, ma il sindaco di Bologna Camillo Casarini, ex

patriota liberale antipapista, esponente di una borghesia colta e arrembante, ch’era diventato maggiorenne l’8 agosto 1848, il giorno in cui i bolognesi cacciarono gli austriaci da porta Galliera. Da quel battesimo di fuoco gli era forse rimasto il gusto per le barricate e le battaglie scomode. Portare il campione della musica tedesca nell’Italia dominata da Verdi lo era certamente. «Escludere la musica di Wagner dai licei musicali è come voler tenere i giovani nell’ignoranza», ammonì in parlamento una volta, nei panni di deputato. L’apprendistato artistico di Casarini era cominciato nel 1863, come membro del direttivo del Teatro Comunale. Una folgorazione, per quello spirito facilmente infiammabile: da quel momento Casarini non vorrà più abbandonare l’odore di palcoscenico, nemmeno quando diventerà sindaco. Anzi, fu proprio il doppio ruolo a consentirgli di sommare alla responsabilità politica quella di direttore artistico.

Era un’Italia in cui Wagner veniva guardato ancora come nemico della melodia, un pericoloso anarchico delle note, un cacofonista fumoso «che condannava le voci umane a guaiti perenni». Casarini la pensava all’opposto. La possibilità di avvicinare il suo idolo cominciò a concretizzarsi nel 1869, anno in cui a Bologna apparvero le prime avvisaglie del nuovo corso: l’Ouverture del Tannhäuser eseguita al Liceo Musicale (ripetuta poi al Comunale) e ben tre opere di Meyerbeer, che al tempo subiva le stesse critiche riservate a Wagner. L’interesse di Bologna era già noto oltralpe: nel 1869 un settimanale di Lipsia annotava che un «grande teatro italiano intendeva mettere in scena Lohengrin». Giocando ormai a carte scoperte, Camillo Casarini si recò a Monaco di Baviera nell’estate 1871 per assistere alla recita del sacro cigno, una vera e propria ricognizione tecnica in vista del grande debutto bolognese. Lo accompagnavano in missione Angelo Mariani (il direttore d’orchestra che aveva rotto l’amicizia con Verdi anche a causa di un comune interesse femminile, il soprano Teresa Stolz), Giovannina Lucca

(ex amante di Vincenzo Bellini e battagliera editrice musicale rivale di Ricordi e di tutto il côté verdiano), uno scenografo e uno stuolo di tecnici e costumisti, arruolati per carpire ogni minimo segreto della messinscena wagneriana. Tornato a Bologna carico di suggestioni (e con l’autorizzazione dell’autore), Casarini non mancò a una sola prova: «Faceva caso ad ogni errore sulla scena e persino in orchestra. Una volta notò che il suonatore di piatti sbagliava a non smorzare la vibrazione», scrisse Hans von Bülow in veste di cronista inviato dalla Germania, già da anni spodestato da Wagner che gli aveva portato via la moglie Cosima, figlia di Franz Liszt.

Il successo di quel 1 novembre fu totale, per non dire epico: il preludio di primo e terz’atto dovettero esser ripetuti, così come la Marcia nuziale. Al Comunale Camillo Casarini si godette un’altra prima wagneriana nazionale, il Tannhäuser del 1872, ma morì due anni dopo senza poter vedere i debutti di Olandese volante, Tristano e Isotta e Parsifal, che dal 1877 al 1914 consolidarono Bologna come porta principale del wagnerismo in Italia. Si rischiò però la guerra civile quando, nel 1906, al Teatro Comunale venne installato il bassorilievo di Silverio Montaguti dedicato a Wagner. Ecco perché nel 1913 il comune si affrettò a commissionare un’opera identica per Verdi. Entrando in foyer, i due cerberi d’ingresso sono ancora Richard e Giuseppe. E oggi sembrano parlarsi come mai ebbero modo di fare in vita